Questo 2013 è stato a dir poco criptico: doveva essere l’anno dell’euro e del suo riscatto e non lo è stato. Del ritorno dell’oro, seppur tra pareri contrastanti. E non lo è stato. Delle commodity come protagoniste, e non lo è stato. Almeno finora. Si, perchè i primi tre mesi hanno visto il risultato peggiore degli ultimi tre anni, proprio in contrapposizione di un rally record che ha segnato l’andamento di Wall Street. Finisce così il mito di un diretto collegamento fra equity e commodity. In questo caso i maggiori imputati sono i fronti esteri, soprattutto quelli orientali, (Cina in testa e Stati Uniti al secondo posto).

Ma per tutte le commodity l’esempio più preclaro è quello dell’oro. Bene rifugio per eccellenza, il metallo giallo che mai come alla vigilia di quest’anno ha diviso gli esperti dopo un rally trentennale che solo negli ultimi mesi accusava qualche segno di debolezza per molti interpretato come un fisiologico rallentamento facilmente superabile, proprio lui, ha registrato un crollo al di sotto dei 1500$ l’oncia.

Purtroppo, proprio adesso, quello che da sempre è stato eletto a contrappeso dell’inflazione, si trova a dover scontare le rassicurazione delle banche centrali sul totale controllo dell’inflazione anche su lungo termine, mentre a dare il colpo di grazia arriva anche Cipro. La piccola isola si trova a dover, con ogni probabilità, vendere l’oro delle sue riserve come garanzia per il prestito dal 10 miliardi di euro che dovrebbe risolvere la disastrata situazione bancaria dell’isola.

Una storia che rischia di infiammarsi nuovamente dopo che proprio Cipro ha reso noto che le necessità per la ricapitalizzazione dell’intero sistema arriva non a 17 miliardi di euro, bensì a 23, oltre 6 in più rispetto a quanto previsto dal piano di aiuti Ue. Immediata la replica di Berlino che ha stroncato sul nascere ogni pretesa di aumento: tutto resterà come prima.

Tornando all’oro, un altro fattore che faceva pensare al suo ritorno in auge erano le continue implementazioni del piano di allentamento monetario che, dopo aver coinvolto gli Stati Uniti ormai da tempo protagonisti della scena, avevano tirato in ballo anche la Banca d’Inghilterra, interessata a scalfire la forza di una sterlina che attirava capitali non sempre deiderati, a Londra a sua volta meta particolarmente invitante per molte società, visto che la riforma fiscale vede, tra le altre cose, un abbassamento delle corporate tax. Trend che evidentemente in Italia non è minimamente considerato.

Non ultimo il Giappone, con lo storico piano di Kuroda che invade il mercato con i suoi acquisti da oltre 14mila miliardi di dollari in due anni e una serie di acquisti sia sui bond a tutte le scadenze, comprese le quarantennali, ma anche per gli asset più tossici. Peccato che proprio il Fondo monetario internazionale abbia fatto notare come le intenzioni di svalutare la moneta non portino pericoli sulla stabilità dei prezzi se, però, queste saranno
attuate in modo controllato e nel breve periodo.

Già qualche giorno fa SocGen ha dichiarato che l’età dell’oro rischia di scomparire, mentre Goldman Sachs ha rivisto al ribasso le sue stime sull’adamento del prezzo. A questo coro si aggiunge ora anche Barclays con un outlook pessimista circa il recupero dell’intero settore commodity.

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