Quella della Cina è una parabola incredibile. Immensa cellula dormiente del comunismo, ha visto negli ultimi 30 anni un cambiamento di rotta a dir poco repentino. Grazie allo spostamento del suo asse economico diretto allo sfruttamento di un occidente in cerca perenne di un grande partner che offrisse vastissima manodopera a buon mercato, Pechino ha potuto contare molto anche sullo spirito di adattamento e sulla pazienza atavica che il suo popolo dimostra. Un popolo, quello cinese che il luogo comune vuole particolarmente soggetto a un forte senso della gerarchia e, di conseguenza dell’ubbidienza.

Un elemento che, nel mondo moderno, ha suggerito a molti analisti come spiegare l’assoluta tolleranza di misure di sicurezza sul lavoro insistenti, lo sfruttamento selvaggio dell’habitat, la compiacenza verso alleanze strategiche per altri imbarazzanti, come nel caso dell’Iran. Eppure, proprio per queste scelte, il capitalismo in Cina ha avuto gioco facile soprattutto dopo l’insediarsi di uno stile di vita consumistico che ha affascinato molto prima i vertici economici e politici e adesso anche la popolazione intera. LA quale sta tramutandosi letteralmente sotto il peso di quel titolo affidatole da più parti, di seconda potenza mondiale .

In questo quadro, il sistema bancario ha visto una crescita di primaria importanza e su un mercato così appetibile come quello cinese anche le figure di spicco della finanza italiana, non si sono certo lasciate sfuggire l’occasione. Unicredit ne èp un ‘esempio. Infatti a tutt’oggi, Unicredit è la sola banca italiana ad avere una licenza bancaria piena in Cina che gli permetterà di sfruttare, come conferma Francesca Malvezzi di UniCredit Historical Archives, un bacino d’utenza che deve poter contare su basi preparate in anticipo per riuscire a battere quella che domani sarà la concorrenza.

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